Nell’agosto del ‘95 ci fu un dibattito tra il dottor Jamal Badawi e il sottoscritto (Joseph Smith) all’Università di Cambridge (Trinity College).
Il soggetto del dibattito fu: “Il Corano è la Parola di Dio?”.
Ognuno di noi presentò uno scritto a proposito e in seguito rispondemmo per un’ora alle domande dei musulmani e dei cristiani presenti.
Qui di seguito riporto il contenuto dello scritto che esposi al dibattito, così come il materiale che usai per le domande e per le risposte che seguirono e altre informazioni che ho raccolto dopo questo incontro.
Per l’interesse mostrato a proposito di questo soggetto, abbiamo inserito questo scritto con altri 10 scritti apologetici ed alcuni dei “99 Trattati della Verità” su un sito web di internet (http://www.debate.org.uk), così che il dibattito possa continuare in tutto il mondo.
La nostra speranza è che questo scritto possa animare il dialogo iniziato col dibattito a Cambridge.
Iniziamo il nostro studio.
L’islam pretende che il Corano non solo sia la Parola di Dio, ma che esso sia la rivelazione finale data all’umanità: è la “Madre di tutti i libri” secondo la sura 43:2-4. (La sura è il nome di ogni capitolo del Corano).
I musulmani sostengono che il Corano sia una copia precisa, parola per parola, della rivelazione di Dio, le cui tavole originali sono sempre esistite in paradiso.
I musulmani si appoggiano alla sura 85:21-22 che dice: “Questo è invece un Corano glorioso, (impresso) su una tavola protetta.”
Studiosi islamici ritengono che questo passo si riferisca alle tavole che non sono mai state create.
Credono che il Corano sia una copia esatta del libro celeste ed eterno, anche per ciò che riguarda la punteggiatura, i titoli e la suddivisione dei capitoli.
Secondo la tradizione musulmana, queste “rivelazioni” cominciarono ad essere trasmesse (Tanzil o Nazil, sura 17:85), al più basso dei sette cieli nel periodo del mese di Ramadan, durante la notte di potenza o destino (lailat al Qadr).
Da qui vennero rivelate a Maometto a rate, a seconda dell’insorgenza delle necessità, per mezzo dell’angelo Gabriele (sura 25:32).
Di conseguenza ogni lettera ed ogni parola è libera da ogni influenza umana e ciò fa sì che il Corano sia circondato da un’aura di autorità, di santità e di integrità.
La maggior parte degli occidentali ha accettato le affermazioni dei musulmani così come sono state presentate, perché non ha mai avuto l’abilità di mettere in discussione la loro veridicità.
Questo è dovuto al fatto che queste affermazioni non potevano essere né approvate né disapprovate, essendo la loro autorità attestata solo dal Corano stesso (dissipando ogni tentativo del Corano di strappare, dalle pagine della Bibbia, la credibilità vera dovuta alle promesse adempiute di Deuteronomio 18, Giovanni 14, 16; e forse altre).
C’è stata reticenza nel contestare il Corano ed il suo profeta, dovuta alla reazione avversa verso coloro che hanno avuto il coraggio di tentare un confronto e una distinzione nel passato.
Il punto è che gli occidentali per troppo tempo si sono accontentati di dare per scontato che i musulmani avessero prove ed elementi per sostenere le loro affermazioni.
Solo ora che molti studiosi secolari dell’Islam (conosciuti come “orientalisti”) riesaminimao le fonti islamiche la prova che viene scoperta mette in questione molto di ciò che siamo stati portati a credere riguardo a Maometto e alla “sua rivelazione”: il Corano.
Le scoperte di questi studiosi indicano che il Corano non fu rivelato ad un solo uomo, ma fu una compilazione di redazioni (o edizioni) successive formulate da un gruppo di uomini, nel corso di alcune centinaia danni. In altre parole, il Corano che noi leggiamo oggi non è lo stesso che esisteva nel settimo secolo ma è, più che probabilmente, un prodotto dei secoli ottavo e nono. Fu a quel tempo, dicono gli orientalisti, in particolare nel nono secolo, che l’Islam assunse la sua classica identità e diventò quello che oggi possiamo riconoscere. Di conseguenza lo stadio formativo dell’Islam, così sostengono, non rientra nel periodo in cui è vissuto Maometto, ma si sviluppa in un periodo di 200-300 anni dopo la morte di Maometto.
Fatti attendibili di questo periodo sono difficili da trovare.
Le uniche fonti disponibili agli storici sono essenzialmente quelle musulmane. Per di più, ad eccezione del Corano, sono tutte successive.
Non abbiamo nessun documento musulmano anteriore al 750 d.C. che ci possa illustrare il periodo formativo dell’Islam. Né esiste nulla che possa avvalorare il materiale della tradizionale musulmana (che è storia islamica basata sulle loro tradizioni).
Documenti tardi si basano su quelli precedenti, ma questi ultimi sono scomparsi (se sono veramente esistiti).
Questo periodo classico (attorno al 500 d.C.) descrive il periodo precedente ma dal proprio punto di vista (come se un adulto scrivesse circa la propria fanciullezza, ricordando i momenti più piacevoli).
Sebbene sia dipinta e influenzata, in quanto tale, non può essere accettata come autentica da studiosi di storia. Di conseguenza, la linea di demarcazione tra ciò che accettano gli storici e ciò che la tradizione musulmana sostiene, può essere sintetizzato come segue: l’islam, secondo gli studiosi ortodossi musulmani, dà pieno credito all’intervento divino riguardo la propria rivelazione.
La tradizione musulmana asserisce che Allah fece conoscere le sue rivelazioni a Maometto attraverso l’angelo Gabriele (Gibril) nell’arco di ventidue anni (tra 610-632 d.C.; periodo in cui vennero formulate molte delle leggi e tradizioni che noi definiamo come Islam.
E’ questo lo scenario che gli storici hanno trascurato sino ad oggi.
Si presuppone che l’islam, agli inizi del settimo secolo (come ci viene presentato dalla tradizione) fosse una religione di immense raffinatezze, una religione dileggi e tradizioni intricate, in qualche modo venuta a contatto col passato, cioè con la cultura nomade, e divenuta pienamente funzionale in un periodo sorprendentemente breve, di soli 22 anni.
La Hijaz (Arabia Centrale) prima di quel periodo era difficilmente conosciuta nel mondo civilizzato. Anche le tradizioni successive si riferiscono a quel periodo come Jahiliyya (o periodo dell’ignoranza, implicando il suo essere arretrato).
L’Arabia, prima di Maometto, non aveva una cultura urbana, nemmeno poteva vantare di avere un’infrastruttura sofisticata di cui avrebbe avuto bisogno per creare o mantenere lo scenario dipinto dalla tarda tradizione per il primo periodo dell’Islam.
Come vennero a fondersi così accuratamente e velocemente questi due aspetti?
Non ci sono precedenti storici per tale scenario.
Ci si aspetterebbe un tale grado di sofisticazione nell’arco di un periodo di uno o due secoli, sempre che ci siano altre fonti come prestiti dileggi e tradizioni dalle culture vicine, ma sicuramente non da un ambiente desertico non sofisticato e non in un periodo di soli 22 anni.
Gli storici, d’altronde non possono condividere questa asserzione perché sostengono che tutta la storia debba essere documentata dall’evidenza storica.
I musulmani sono costretti quindi a fare un passo indietro, e a chiedersi: ‘Come sappiamo ciò che sappiamo? Dove hanno origine le informazioni? Come può reggere un’analisi storica priva di influenze?”
Gli storici dunque hanno dovuto affrontare un dilemma.
Mentre possono deridere la premessa dell’esistenza di Dio, non potevano però rifiutare ciò che la tradizione musulmana spiegava, perché era l’elemento più affidabile che possedevano e per quanto tentassero non riuscivano a spiegarsi la formazione del Corano al di fuori di queste tradizioni.
Almeno fino ad ora.
La nuova generazione di storici esperti dell’Islam, mentre ammettono che c’è mistero intorno alla questione dell’intervento divino, stanno ora guardando più da vicino altre fonti in merito al Corano per accertare gli indizi riguardanti le sue origini.
Sono queste fonti che ora stanno cominciando a rivelare prove per spiegazioni alternative alla nascita di una religione i cui fedeli sono oggi un quinto della popolazione mondiale e che sta crescendo più velocemente di qualsiasi altra religione rilevante.
E’ il loro materiale che, penso, gli apologisti musulmani avranno bisogno di affrontare seriamente d’ora innanzi, siccome molte delle nuove informazioni mettono seriamente in dubbio le rivendicazioni preferite dagli studiosi islamici relative al loro Corano ed al loro profeta, Maometto.
Iniziamo dunque la nostra analisi con un breve panorama delle fonti islamiche, del suo profeta e del suo libro.
A) I PROBLEMI DELLA TRADIZIONE ISLAMICA
Per fare una critica al Corano è importante non stare ad ascoltare quello che gli esegeti dicono oggi, ma tornare alle origini, alle prime fonti del Corano che abbiamo a disposizione, per cogliere indizi sulla sua autenticità.
Si dovrebbe desumere che ciò sia abbastanza semplice da realizzare, come lo sarebbe per un nuovo scritto letterario, apparso sulla scena, secondo i musulmani, solo 1400 anni fa.
1) Le fonti
La questione delle fonti è sempre stato un motivo di polemica per lo studioso secolare dell’Islam, e come per qualsiasi studio che riguarda il Corano, deve partire con la distinzione fra fonte primaria e fonte secondaria.
Per fonti primarie si intendono quei documenti che hanno l’accesso diretto all’evento o che sono vicinissimi.
Per fonti secondarie si intendono invece quei documenti più recenti e che sono, di conseguenza, dipendenti dalle fonti primarie.
Nell’Islam, le fonti primarie che abbiamo a disposizione sono tra i 150 e i 300 anni successive agli eventi descritti, sono quindi piuttosto lontane dagli eventi stessi. Per questa ragione sono, a tutti gli effetti, fonti secondarie, visto che dipendono da altro materiale, per gran parte non più esistente.
La prima e più grande di queste presunte fonti primarie è quella delle tradizioni islamiche.
Vista l’importanza delle tradizioni islamiche è importante cominciare proprio da questa fonte.
Le tradizioni musulmane sono testi compilati da musulmani scritti fra l’ottavo e il decimo secolo (d. C.) che riguardano ciò che il loro profeta Maometto fece e disse nel settimo secolo, nonché commentari del Corano.
Sono l’insieme di documenti più esteso che abbiamo oggi riguardo il primo periodo dell’Islam.
Sono anche compilati con numerosi dettagli come null’altro in nostro possesso e sono comprensivi di date e fatti successi.
Sono elogi al Corano.
Il Corano, da solo, è difficile da seguire, infatti lascia il lettore confuso, quando passa da una storia all’altra, con un minimo sfondo narrativo o spiegazione. E a questo punto che le tradizioni sono importanti in quanto danno in dettaglio ciò che altrimenti sarebbe perduto.
In alcuni casi le tradizioni prevalgono su ciò che dice il Corano; per esempio questo si riferisce a tre preghiere giornaliere (sure 11:116 e 24:58) mentre le tradizioni tarde stabilirono cinque preghiere giornaliere che da allora in poi furono adottate dai musulmani.
Esistono diversi generi di queste tradizioni.
I loro autori non erano gli scrittori stessi, ma erano compilatori ed editori che raccoglievano informazioni da altri e che producevano i documenti.
Ci sono molti compilatori, ma i quattro che sono considerati i più autorevoli da molti musulmani, sono vissuti e hanno raccolto il loro materiale tra il 750 e il 923 d.C. (ovvero 120-290 anni dopo la morte di Maometto).
Può essere utile elencare le loro opere con le rispettive date:
- La Sira contiene considerazioni riguardanti la vita del loro profeta (comprese le sue battaglie). La Sira più completa è stata scritta da Ibn Ishaq (morto nel 765 d. C.), ma nessuno dei suoi manoscritti è tuttora esistente. Di conseguenza, oggi dipendiamo dalla Sira di Ibn Hisham (morto nel 833 d. C.), che si suppone sia stata presa dal testo di Ibn Ishaq. Per sua stessa ammissione, però, (secondo le ricerche di Patricia Crone), ha saltato gli argomenti che potevano causare offesa (come ad esempio ciò che l’autore trovava ripugnante, poemi non attestati altrove e questioni che non poteva accettare come degni di fiducia).
- La Hadith, contiene migliaia di brevi racconti e narrazioni (akhbar) riguardo le parole e le azioni del loro profeta, raccolti da musulmani nel secolo nono e decimo. Delle sei più famose raccolte dell’Hadith, quella di Al-Bukhari (morto nel 870 d.C.) è considerata da molti musulmani la più autorevole.
- I Ta’rikh, storie o cronologie della vita del profeta tra le quali l’opera più famosa è di Al-Tabari (morto nel 923 d. C.), dell’inizio del decimo secolo.
- I Tafsir, commentari ed esegesi del Corano, la sua grammatica e il suo contesto; il più conosciuto e ancora scritto da AlTabari (morto nel 923 d.C.).
2) Date successive
La prima domanda da porsi è perché questi testi sono stati scritti così tardi, tra 150 e i 300 anni dopo i fatti?
Non abbiamo nessun tipo di” relazione dalla comunità «islamica» riguardo ai primi 150 anni, tra le prime conquiste arabe (verso gli inizi del settimo secolo) e la comparsa, con le narrazioni sira-maghazi, dei primi testi di letteratura islamica (del tardo ottavo secolo)”.
Dovremmo aspettarci di trovare, durante questi 150 anni, almeno dei residui di prova dello sviluppo della religione araba verso l’Islam (cioè tradizioni musulmane); invece non troviamo nulla.
Dei musulmani sono in disaccordo e asseriscono che ci sono delle tracce di prime tradizioni, principalmente il Muwatta di Malik ibn Anas (712 d. C. 795 d. C.).
Norman Calder nel suo libro Studies in Early Muslim Jurisprudence è in disaccordo con una datazione così remota e chiede se tali opere possano essere attribuibili alla lista di autori. Sostiene che la maggior parte dei testi che abbiamo di questi primi autori sono “testi scolastici” trasmessi e sviluppati durante diverse generazioni, e portati a termine, nella forma che conosciamo, considerevolmente più tardi dei supposti “autori” a cui sono generalmente attribuiti. Di conseguenza Calder situa il Mawatta non prima del 795 d.C. ma qualche tempo dopo il Mudawwana scritto nel 854 d. C..
Seguendo l’ipotesi che la “legge di Shafi’i”, che pretende che tutte le Hadith siano tracciate a Maometto, non venga realizzata se non dopo l’820 d.C., giunge alla conclusione che siccome il Mudawwana non parla dell’autorità profetica di Maometto allora il Muwatta (che lo fa) deve essere più recente.
Infatti Calder situa il Muwatta non nell’ottavo secolo dell’Arabia, ma nell’undicesimo di Cordoba, Spagna.
Se è così, rimaniamo con poche testimonianze del primo periodo dell’islam.
Humphreys definisce questo problema quando puntualizza: “I musulmani, supponiamo, devono sicuramente aver usato grande accuratezza nel registrare i loro spettacolari successi, mentre le società estremamente letterate e urbanizzate, che essi hanno soggiogato, hanno potuto venire difficilmente a conoscenza di quanto era loro successo”.
Ora, in accordo con Humphreys tutto ciò che troviamo di questo primo periodo sono fonti “sia frammentarie, sia che rappresentano prospettive molto specifiche ed eccentriche”, che annullano completamente ogni possibilità di ricostruzione adeguata dell’Islam del primo secolo (Humphreys 1991:69).
La domanda, quindi, che deve essere fatta è da dove realmente i compilatori dell’ottav0 e nono secolo abbiano mai ottenuto il loro materiale.
La risposta è che proprio non lo sappiamo.
“La nostra evidenza per la documentazione antecedente al 750 d. C. consiste quasi interamente in dubbiose citazioni di compilazioni più tarde”. Di conseguenza, non abbiamo nessuna prova credibile che le tradizioni parlino fedelmente della vita di Maometto o del Corano stesso.
Ci viene chiesto di credere che questi documenti, scritti dopo centinaia di anni, siano accurati, mentre non ci viene presentata alcuna prova della loro precisione, all’infuori degli Isnads, che non sono niente più che liste che pretendono di fornire i nomi di coloro che trasmisero queste tradizioni oralmente.
Gli Isnads stessi, comunque, sono carenti di qualsiasi documentazione che sostenga la loro autenticità!
Comunque, tratteremo questo più avanti.
a) Scrittura
I musulmani sostengono che un motivo per le date così recenti delle fonti primarie può essere attribuito al fatto che la scrittura a quel tempo ed in quell’area così isolata non era utilizzata.
Questa affermazione è completamente infondata, in quanto la scrittura ebbe origine ben prima dell’ottavo secolo.
Fu inventata nel quarto secolo e largamente utilizzata da allora dal mondo civilizzato.
La dinastia di Umayyad della Siria (e non dell’Arabia) usava dei segretari alle corti dei califfi.
Questo prova che la scrittura era già ben sviluppata, altrimenti quale sarebbe stata l’utilità dei segretari?
Inoltre, si sa che l’Arabia (meglio conosciuta come Hijaz) nel settimo secolo ed anche prima, era una vasta area di commercio, con carovane che percorrevano le strade dal nord al sud e probabilmente dall’est all’ovest.
Come tenevano le loro registrazioni i carovanieri?
Sicuramente non memorizzando le figure!
Per concludere, dobbiamo chiederci come potremmo risalire al Corano se davvero non ci fosse stato nessuno capace di mettere l’inchiostro sulla carta prima di quel tempo?
I musulmani ammettono l’esistenza di un numero di codici del Corano di poco posteriori la morte di Maometto, come quello di Abdullah ibn Mas’ud, Abu Musa ed Ubayy b. Kab.
Cosa sono questi codici se non documenti scritti?
Il testo Uthmanico stesso doveva essere scritto, altrimenti non sarebbe un testo!
La scrittura era disponibile, ma per qualche motivo, non fu fatta nessuna registrazione di questi supposti primi documenti antecedenti il 750 d.C.
b) Età
Altri studiosi musulmani sostengono che un’ulteriore ragione per l’assenza di documentazione tarda può essere attribuita all’età avanzata.
Credono che il materiale su cui le fonti primarie furono scritte sia andato distrutto nel tempo, lasciandoci con pochi esempi oggi, o che si sia logorato per un cattivo utilizzo, quindi andato distrutto.
Questa affermazione è alquanto dubbiosa.
Nella British Library abbiamo ampi esempi di documenti scritti da individui in comunità che non erano troppo distanti dall’Arabia, e che predatano questi manoscritti di centinaia di anni.
Sono ad esempio i manoscritti del Nuovo Testamento come il Codice Sinaitico e il Codice Alessandrino, entrambi scritti nel quarto secolo, da tre a quattrocento anni prima del periodo in questione!
Perché non sono andati distrutti col tempo?
L’argomentazione diviene ancora più debole nel momento in cui guardiamo al Corano stesso.
Il “testo Uthmanico” del Corano (il canone finale compilato, come credono i musulmani, da Zaid ibn Thabit, sotto la direzione del terzo califfo Uthman) è considerato da ogni musulmano come il più importante pezzo di letteratura mai scritto. Secondo la sura 43:2-3 è la “madre di tutti i libri”. La sua importanza risiede nella credenza che questo sia una copia esatta delle “tavole eterne” che sono in paradiso (sura 85:22).
Secondo la tradizione musulmana ogni altro testo o manoscritto fu distrutto dopo il 646-650 d.C. Anche la “copia di Hafsah “, da cui fu trascritto la recensione finale fu bruciata.
Se il testo Uthmanico era così importante, perché non fu scritto su una carta che avrebbe potuto durare fino al giorno d’oggi? O su pelle che avrebbe durato molto di più?
Non abbiamo, nel modo più assoluto, alcuna prova riguardo il testo coranico originale.
Non abbiamo neppure una delle presunte quattro copie che furono redatte e spedite a Mecca, Medina, Basra e Damasco.
Seppure queste copie, in qualche modo, possono essersi distrutte col passare degli anni, ci sarebbero sicuramente alcuni frammenti dei documenti a cui ci potremmo riferire.
Alla fine del settimo secolo l’Islam ha avuto un’espansione attraverso l’Africa del Nord, sino in Spagna e ad est sino in India.
Il Corano (secondo la tradizione) era il punto centrale della loro fede.
Certamente con questa enorme sfera di influenza dovremmo trovare documenti o manoscritti coranici di quei tempi che ancora esistano. Invece non c’è assolutamente nulla di quel periodo.
Mentre il Cristianesimo può vantare più di 5300 manoscritti greci conosciuti del Nuovo Testamento, 10.000 Volgate latine ed almeno 9300 altre prime versioni, ammontando a 24.000, oltre a manoscritti del Nuovo Testamento ancora esistenti, scritti tra i 25 e 400 anni dopo la morte di Cristo (o tra il primo e il quinto secolo), l’Islam non può fornire un solo manoscritto sino al tardo ottavo secolo.
Se i cristiani possono conservare così tanti manoscritti antichi, tutti scritti molto prima del settimo secolo, in un periodo in cui la carta non era ancora stata introdotta, obbligando ad una dipendenza dal papiro soggetto a invecchiamento e distruzione, come mai i musulmani non sono in grado di mostrare un solo manoscritto di questo tardo periodo, quando si suppone che il Corano sia stato rivelato?
Questo è davvero un problema che non può essere certo risolto con l’affermazione secondo la quale i primissimi Corani si sarebbero semplicemente distrutti tutti col tempo, o sarebbero stati distrutti perché consumati.
c) I manoscritti
I musulmani, in risposta, sostengono che siano ancora in loro possesso un certo numero di queste “recensioni Uthmaniche”.
Ho sentito musulmani dichiarare che ci sono copie originali a Mecca, a Cairo e in quasi ogni antica colonia musulmana.
Ho spesso chiesto a queste persone di fornirmi elementi che potessero dare peso alle antichità dei documenti, compito che fino ad oggi nessuno è riuscito a portare a termine.
Ci sono comunque due documenti che meritano una certa credibilità e a cui fanno riferimento la maggior parte dei miei amici musulmani.
Questi sono il manoscritto Samarkand, che si trova nella Libreria Sovietica di Stato a Tashkent, Uzbekistan (nella parte meridionale dell’ex-U.R.S.S.) e il manoscritto Topkapi che può essere trovato nel Museo di Topkapi a Istanbul, Turchia.
Questi due documenti sono realmente antichi ed è stata svolta su di essi un’ampia analisi etimologica da parte di esperti in calligrafia araba per garantire questa argomentazione.
- Il manoscritto Samarkand (i dati che seguono sono citati in Jam’al-Qur‘an di Gilchrist, 1989, pgg 148-150). Il manoscritto Samarkand non è per nulla completo. Infatti delle 114 sure dell’attuale Corano solo alcune parti delle sure 2 a 43 sono incluse e buona parte del testo è mancante. L’inscrizione autentica del testo nel codice Samarkand presenta un serio problema dal momento che è molto disordinata. Alcune pagine sono scritte in modo molto ordinato ed uniforme mentre altre sono disordinate e disarmoniche. Il linguaggio in certe pagine è discretamente esteso mentre in altre pagine è stentato e riassunto. A volte la lettera araba KAF viene esclusa dal testo, mentre in altre parti non solo è ampiamente utilizzata ma diventa la lettera dominante del testo. Dato che tante pagine del manoscritto differiscono così tanto fra di loro, possiamo oggi affermare che ci troviamo davanti ad un testo composito, compilato sulla base di porzioni di vari manoscritti. L’opera è molto arricchita da decorazioni artistiche composte da bande di fili di quadrati ovvero da 151 medaglioni di colore rosso, verde, blu e arancione. Queste decorazioni indicano che il codice ha origine nel IX° secolo, visto che è largamente improbabile che tali decorazioni potessero accompagnare il manoscritto Uthmanico spedito alle varie province.
- Il manoscritto Topkapi. Il manoscritto Topkapi di Istanbul, Turchia, è scritto su pergamena ed è privo di vocalizzazione. Allo stesso modo del manoscritto Samarkand è abbellito da medaglioni ornamentali che indicano un epoca successiva. I musulmani sostengono che questa deve essere una delle copie originali, se non proprio l’originale scritta da Zaid ibn Thabit. Eppure è sufficiente confrontarlo con il codice Samarkand per comprendere che con ogni probabilità, non possono essere entrambi manoscritti uthmanici Per cominciare il codice Topkapi di Istanbul segue un impaginazione a 18 righe, mentre il codice Samarkand (che si trova a Tashkent) ne ha solo la metà, ovvero tra le 8 e 12 righe per pagina; il codice di Istanbul è scritto in maniera molto formale, le parole e le righe sono scritte in modo uniforme mentre il testo Samarkand è compilato in modo casuale e distorto. Non si può credere che entrambi i manoscritti siano stati scritti dagli stessi copisti. Gli esperti nell’analisi di manoscritti utilizzano tre diversi test per accertare l’epoca dei manoscritti. Analizzano il periodo della carta del manoscritto, utilizzando processi chimici come il carbonio 14. Questo tipo di analisi non è adeguato per documenti recenti come il Corano perché l’emivita del carbonio si conta in millenni. Studiano anche l’inchiostro del manoscritto e analizzano i suoi componenti per determinare la provenienza o per verificare se è stato cancellato o riutilizzato. Ritorna, però, il problema dell’epoca troppo recente del documento. Gli esperti sono quindi costretti ad analizzare gli stessi caratteri per verificare l’epoca del documento. Questa analisi è possibile perché i caratteri in ogni lingua cambiano nel tempo ed i cambiamenti del carattere sono di solito ben documentati, così che è possibile trovare la collocazione temporale confrontando i caratteri del testo con altri documenti. L’argomentazione più valida che nega la possibilità che questi due manoscritti possano essere stati copiati da Uthman o che esistessero già nel settimo secolo è palese quando si pone l’attenzione ai caratteri.
La spiegazione è piuttosto semplice. Dobbiamo considerare che il carattere cufico o meglio definito al-Khatt al-Kufi prende il suo nome dalla città di Kufa, in Iraq. Sarebbe piuttosto strano che questo testo sia divenuto la “madre di tutti i libri” se fosse stato scritto in caratteri che trovavano origine in una città che fu conquistata dagli arabi solo 10-14 anni prima.
È importante segnalare che la città di Kufa, che si trova nell’attuale Iraq, sarebbe stata una città sassanide o persiana prima di quegli anni (637-638 d. C.). Dunque, se l’arabo fosse stato conosciuto, non sarebbe stata la lingua dominante e meno ancora la lingua scritta predominante per molto tempo ancora. Sappiamo infatti che il carattere cufico raggiunse la perfezione verso la fine dell’ottavo secolo (150 anni dopo la morte di Maometto) e solo allora venne largamente utilizzato nel mondo musulmano.
Tutto ciò è sostenuto dal fatto che dopo il 750 gli Abbasidi controllavano l’islam e, secondo la Loro cultura persiana, localizzavano il loro quartiere generale nelle aree di Kufa e Bagdad. Avrebbero dunque voluto che la loro scrittura dominasse. Essendo stati essi stessi dominati dagli arabi sotto gli Ummayyads (la cui base era a Damasco) per oltre un secolo, è comprensibile che una scritta araba, come il carattere cufico diventi ciò che troviamo nei due documenti sopracitati.
Insomma possiamo ragionevolmente dire che sia il manoscritto Topkapi che quello Samarkand essendo compilati in caratteri cufici, non possano essere stati scritti che 150 anni dopo la compilazione della versione uthmanica, al massimo nel tardo 700 o agli inizi dell’800.
Si noterà che dato lo stile oblungo degli scritti cufici, entrambi usano carta che è più ampia che alta.
Questo è conosciuto come il “Formato Panoramico” un formato preso in prestito da documenti cristiani siriani e iracheni del l’ottavo e nono secolo.
I primi manoscritti arabici erano scritti nel “formato verso l’alto” (il Dr. Hugh Goodacre dell’Ufficio delle Collezioni Orientali e Indiane mi ha fatto notare questo punto prima del dibattito di Southbank). Perciò, va da sé che i manoscritti Topkapi e Samarcanda, poiché sono scritti col carattere cufico ed usano il “formato panoramico”, non potevano essere stati scritti prima di 150 anni dopo la compilazione della Recensione Utmanica (sembra ai primi del 700 o dell’800).
Sappiamo che c’erano due caratteri più antichi che la maggior parte dei musulmani moderni non conosce.
Questi sono il carattere al-ma’il diffuso in Hijaz, soprattutto a La Mecca e Medina e il carattere mashq, diffuso anch’esso a Medina.
Il carattere al-ma’il si sviluppò nel settimo secolo ed è di facile identificazione siccome veniva scritto con una leggera angolazione. La parola al-ma’il infatti significa “di traverso”.
Questo carattere sopravvisse per circa due secoli prima di cadere in disuso.
Anche il carattere mashq si sviluppò nel settimo secolo, e continuò ad essere usato per molto tempo. E’ in forma più orizzontale e può essere distinto per il suo stile quasi corsivo e curato.
Se il Corano fosse stato compilato in questo periodo del settimo secolo, ci si aspetterebbe che fosse scritto in caratteri ma’il o mashq.
È interessante notare che c’è un Corano scritto in caratteri ma’il e deve essere considerato il più antico Corano che è oggi in nostro possesso. Non si trova però né a Istanbul né a Tashkent, ma ironicamente si trova nella British Library a Londra.
Martin Lings, l’ex-conservatore dei manoscritti della British Library, lui stesso musulmano praticante, data il testo attorno alla fine dell’ottavo secolo.
Quindi con l’aiuto dell’analisi dei caratteri sappiamo che oggi non siamo in possesso di alcun manoscritto del Corano a cui possa essere attribuita un’origine nel settimo secolo. Per di più, tutti i frammenti dei manoscritti del Corano di cui siamo in possesso non possono essere datati prima di 100 anni dopo i tempi di Maometto.
Nel suo libro “Calligrafia e Cultura Islamica”, Annemarie Schimmel sottolinea questo punto quando afferma che al di fuori delle recenti scoperte di Corani in Sanaa, “i primissimi frammenti databili risalgono al primo quarto dell’ottavo secolo”.
È molto interessante che i Corani di Sanaa (appena menzionati) continuino a rimanere un mistero, siccome il governo dello Yemen non permette ai tedeschi, che li scoprirono, di pubblicare i loro ritrovamenti.
È questo un tentativo di nascondere quello che questi “primissimi” Corani possano rivelare?
Ci sono voci che affermano che il manoscritto dei Corani dei primi anni dell’ottavo secolo non corrisponda a quello che abbiamo oggi.
Dalle prove che abbiamo sembra improbabile che le porzioni dei Corano, che si suppone copiato sotto la direzione di Uthman, siano sopravvissute. Ciò che ci rimane è un intervallo di 150 anni sul quale non sappiamo niente.